La voce di Franzin è la voce che canta l’esilio dal mondo e, con esso, dalla felicità. L’esilio rimanda a un’esperienza reale e storica e alla sua conversione che, per mezzo della parola poetica, la trasforma in pura metafora. All’interno di questo esilio c’è una prospettiva che è misura di realtà; una situazione concreta che si accetta o si rifiuta; e certe circostanze sulle quali si struttura la vita, immersa in una realtà e, per contro, in ciò che ne resta. Questi fattori rimandano sempre a ciò che resta dentro o fuori di questa realtà. È come se il suo autore si trovasse all’interno di cerchi concentrici che segnano un dentro e un fuori; un interno e un esterno, un qui e un lì, un ora o un mai. Uno stare e un essere; o un non stare o un non essere; o non voler essere.
Gabriela Iliescu
Quando ho letto l’articolo nel Gazzettino, / la tragedia che ti ha colpita, // una mattina di nebbia che
sembra / pioggia, il sei dicembre duemila / undici, mentre tutta l’Europa / è sotto scacco per un’economia
/ malata e senza cuore, mi sono collegato / ad internet per capire meglio, anche / io ho sgobbato vent’anni
alle presse, / so del sudore mischiato al calore, / i gas che intossicano, i tempi di produzione / da rispettare
per portare a casa un tozzo / di pane. Ho cliccato il tuo nome, su / google, e subito mi è apparsa / una
schermata di foto di una bella ragazza, in posa / sulle copertine delle riviste di moda. // Pensa al destino,
cara Gabriela: una tua omonima, una / nata nello stesso paese che vi ha / viste emigrare in cerca di
fortuna // fa la modella, sogno di ogni / ragazza, in questa epoca, ha il sorriso / stampato su poster e
pubblicità, lo / fa sbocciare sulle passerelle rosse, / davanti ai flash, dall’estetista // il tuo spento fra due
stampi / di ferro e gli scarti di plastica.
dal libro Fabrica e altre poesie, Borgomanero, Ladolfi editore, 2013
Fra i confini della vita
Questi strani giorni d’autunno, ora così caldi / e limpidi, ora così coperti e umidi, così nebbiosi.
//Un urlo il vento, ieri notte, e il buio frustare di fronde / contro le finestre appannate dell’ospedale.
// E i nidi, pensavo: se ce ne sono chi appronterà / un telone sotto gli alberi? E poi il primo notare /
che il giallo dei topinambur esploso lungo le sponde / del Livenza rima con quello delle foglie dei
pioppi / che ne costeggiano i suoi argini. Questi strani giorni / d’autunno e i fogli del calendario
che mi cadono / inzuppati dalle mani dicendo di un arrivo / e di un’altrettanto imminente partenza.
/ Con le stesse labbra con cui ho baciato la fronte / emaciata di mio padre ora ausculto questi /
quasi impercettibili sussulti, questi cari calcetti / appoggiandole sul ventre teso di mia moglie. //
Piovono foglie rosse ora, sulle lenzuola stropicciate, / lungo i candidi corridoi istoriati dal dolore.
// Adesso so, con la più assoluta e crudele delle certezze / che colui a cui devo la mia vita e colui / a
cui io la darò non riusciranno ad incontrarsi. / So che mio padre, nonostante tutto il suo bene, / non
mi permetterà di gioire appieno per la nascita / di mio figlio e so che la nascita di mio figlio / non
mi permetterà di piangere mio padre come merita. // Io sono qui, con una mano stretta / a cercare
di trattenere e l’altra / aperta nel gesto di accogliere, di cullare. // Non so con quale delle due sia
riuscito a scrivere queste parole.
dal libro Pare, Helvetia, Spinea, 2006.
Presepe. Dialetto
Quella benedetta buona voglia / che ti prende di allestire il presepe, / ogni anno, e ogni anno più ampio, /
più ricco; la cura, minuziosa, in ogni suo dettaglio, / la passione. Lì, accucciata / sui calcagni in un angolo
della sala, / tu, così malandata che, lo / capisco, sai? quanto ti dolgano / le ginocchia, poi, mentre ti
risollevi... // lì, a fermare il cielo stellato / con le puntine da disegno, nel muro, a sistemare / tutte le pecore
nel muschio... e il fuoco, / poi, con le luci intermittenti sotto / un batuffolo di carta delle arance... le cortecce
/ grinzose del rovere per il tetto, le stradine di ghiaino, / il pozzo, l’acqua che scorre in un letto / di stagnola,
e lui, il Gesù bambino, / con le braccine aperte, fra la paglia / e un nido di bastoncini incrociati... // per i
nipotini, lo so, capisco... // ma tu non capisci che non è più tempo / che non c’è più sacralità, che io non ho
più tempo per andare / a raccogliere il muschio che ti serve, / che non so neppure dove andare a cercarlo,
poi!... / e che non ci credono più, i bambini: è più / il disastro che combinano... che poi / sbuffi, a riattaccare
con il nastro adesivo / la carta che strappano per toccare le stelle / con le dita, a togliere dal muschio / i
sassolini delle stradine sparpagliate, / a mettere in piedi statuine ribaltate... / che mi verrebbe quasi voglia
di dirti / basta, mamma, lasciala perdere questa poesia, / sacra; e guarda i nostri paesi, piuttosto //
guardali! che sarebbe da riempire tutto il muschio / (muschio che quest’anno ho persino visto / fra gli
scaffali dell’Ipercoop; che era / in vendita, capisci? vendono anche quello / ormai! che sarebbe da
disseminarlo, / quel muschio, di scatole di scarpe / e di quelle delle tue medicine, delle mie sigarette, / così, a
figurare questi distretti di capannoni industriali, di Centri / Commerciali, che sono, ormai, il reale
paesaggio / che i tuoi nipotini vivono, conoscono... il tubo della carta / igienica per mimare ciminiere... i Re
Magi / farli arrivare su di una di quelle macchinine di mio figlio: / al modellino di un fuoristrada, di una
Bmw, / di una Mercedes, altro che cammelli... / che Gesù bambino non appare in tivù, / non va ai reality, ai
talk-show, e quindi non esiste, / capisci? non è un vip, non è più nessuno... // Guardaci, mamma: siamo qui,
io e te, tu con le tue / statuine, il muschio, io con le mie povere parole, / con il dialetto; guardaci: cerchiamo,
strenuamente, di trattenere / a noi un mondo che si allontana a una velocità / impressionante, avvolgendolo
di valori, di sentimenti, / popolandolo di erba e pastori, di storie / che odorano di fieno, di muffa. Siamo
proprio ridicoli! // però, ascoltami, mamma: andrò a raccogliere / il tuo muschio anche il prossimo anno, te
lo prometto // continuerò a raccogliere parole / vecchie, ogni giorno, per la mia poesia, per il presepe / e per
i nipotini che arriveranno anche a me...
dal libro Mus.cio e roe (Muschio e spine), Milano, Le voci della luna 2007.
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