ANGELO FIORE

Del capolavoro di Angelo Fiore, Il supplente, ho avuto modo di parlare nelle pagine di questo blog. Tuttavia ho sentito il bisogno di voler approfondire meglio il tema della disgregazione della personalità a cui andrà incontro il protagonista, Attilio Forra, fino allo smarrimento nel labirinto esistenziale della sua irremissibile e perversa allucinazione.

Le sodomie immateriali ne Il supplente di Angelo Fiore
di Vincenzo Paglione


	Il supplente, di Angelo Fiore (Vallecchi Editore, 1964), senza dubbio autore letterario da annoverare tra i grandi della narrativa contemporanea non solo italiana, esordisce con l'arrivo del protagonista in una innominata cittadina siciliana per una supplenza scolastica, dopo aver deciso di abbandonare un impiego di piccolo funzionario statale. Più tardi si scoprirà che Attilio Forra (nome del protagonista) era stato anche un ex religioso fuggito dall'ordine per ragioni non ben chiarite. Un mondo chiuso e irrespirabile quello che descrive Fiore in questo romanzo, in cui si sente la suggestione dei grandi del Novecento quali Pirandello, Dostojevskij, Kafka, Genette e Musil. Tentare le strade dell'insegnamento è per Forra la via che ritiene più idonea alla sua qualità e curiosità intellettuale. Tuttavia, di fronte all'ambiguità e alla volgarità dell'ambiente scolastico e dei colleghi, egli si chiude in una sorta di indifferenza sprezzante verso la banalità del far carriera e dell'insensibilità generale di fronte a più alte ambizioni intellettuali. 
	Quella che vivrà il protagonista è una sorta di discesa verso gli inferi, ossessivo svelamento di una condizione umana meschina, marginale, fatta di rapporti vuoti e perversi. Fiore svela un mondo dove la normalità si combina con la mostruosità. La scelta di Forra a non integrarsi, di rinunciare alla propria realizzazione, fino a compromettere con noncuranza le amicizie, è la scelta dello sconfitto in un mondo in cui conta solo vincere, nella scuola come nella vita: è questo il mondo in cui sono rispettati e celebrati i mediocri. Tuttavia, al contrario del protagonista di Musil, Forra è un uomo con qualità, perché ha la certezza religiosa di essere in attesa di una rivelazione pur sapendo di non poter raggiungere nessun risultato e nessuna verità. La narrazione delirante presenta l'irrazionale e l'inverosimile attraverso uno sguardo profondo dello stato psichico del protagonista, un essere ambiguo che subisce la perdita quasi totale della sua identità. Nel suo universo di orrore e degrado, la violenza si iscrive in un linguaggio incomprensibile che sancisce l'assurdo come riflesso di una esistenza condannata al fallimento. Il tentativo di entrare in relazione con gli altri, ovvero di instaurare dei normali rapporti con i colleghi e le altre persone che lo circondano, si trasforma, in ultima istanza, in un monologo interiore tra loro, perché non si stabilisce alcuna distinzione tra ciò che è stato detto e ciò che è stato pensato da uno specifico personaggio, così come non esiste una relazione tra esso e l’idea che Forra se ne è fatta di lui. 
	La particolare tecnica con cui è scritto il romanzo consente di affrontarlo sotto diverse chiavi di lettura. Da una parte è possibile esaminarlo partendo da un’analisi freudiana dei suoi personaggi – e sarebbe allettante portare alle sue ultime conseguenze una ricerca sull’erotismo che filtra dalle pagine di questo romanzo – dall’altra, invece, è presente l’analisi sociologica che si fonda sull’osservazione della società provinciale italiana degli anni Sessanta; tuttavia entrambi gli approcci non sono sufficienti a svelarci tutto quello che il libro è. Sarebbe erroneo denominare pornografia l’erotismo di Fiore e biasimarlo di non avere un orientamento ideologico più consono nell’affrontare le differenti interpretazioni che si possono avere della realtà di un individuo. Con frequenza si dimentica che in uno scrittore i punti di vista, comprese le idee politiche, sono dati in aggiunta, perché costituiscono una dimensione possibile dell’opera che è stata scritta con lo scopo di dare testimonianza a livello individuale. 
	Il supplente può essere considerato un’opera di rottura degli stereotipi che rappresentano il romanzo convenzionale, dove s’impone l’amore. Si è in presenza di personaggi aberranti che riflettono ambizione di potere, invidia e avidità. Lo stesso Attilio Forra rispecchia in qualche modo un personaggio assalito da tormenti, insicurezze e invidia. Per questa ragione egli si sente intrappolato nel suo mondo,  anche lui va alla ricerca di diventare qualcosa che non sarà mai. Il rifiuto del mondo e della gente lo porta a una sorta di alienazione che si traduce in visioni e fantasie di abnormi personaggi assimilati nella sfera dell'incestuoso, della sodomia e del sadismo. In questo spazio tra la vita e la pulsione di morte, tra verità e follia e nella fusione tra continuità e discontinuità della vita nell’erotico, vi dimora l’osceno e il mostruoso; perché Forra non può negare il piacere erotico e, quindi, il legame che questo ha con la morte, la violenza, il perverso. Attraverso la consapevolezza della morte il protagonista incontra la sua origine e il suo destino, entrambi luoghi dell’inesistenza, pertanto, fuori da ogni spettacolarizzazione. Erotismo e morte sono tra loro legati. L’osceno è lì a indicare ciò che si tiene nascosto dentro di sé, nel mettere in scena ciò che non si mostra per pudore, poiché la nudità del corpo è un’impronta della vita e della morte della vita. Forra è uno spirito assoluto che crea i personaggi per emanazione di sé e li annienta per riduzione a sé. I mostri che lo assalgono, e lo seducono, “gli ignoti”, “gli invisibili”, nella pensione in cui dimora si amalgamano in una sorta d’intesa. Accanto a loro, il protagonista diventa uno di loro, personaggio archetipico che è allo stesso tempo tutti loro; un’intesa che si esprime in prima persona plurale per far ricredere il lettore, quando necessario, della sua realtà. E come se tutto questo non bastasse, Forra non giunge mai alla convinzione che forse tutto ciò, i personaggi, i dialoghi con le loro ombre e i fatti che gli accadono, sono solo un delirio, un sogno. In particolare sono le femmine sabbatiche dei suoi incubi quelle che si situano in una zona indeterminata, quindi mostruosa, tra l’osservanza e la dominazione. Nello spazio irregolare della stanza della pensione affittata agli strani inquilini e adiacente a quella di Forra, l’anormalità è portata all’eccesso. Il coro delle donne al seguito di Alberto (la madre, la moglie, la sorella e la sua figlia) costituiscono il gruppo delle adoratrici di questo personaggio dionisiaco, crudele violentatore, stupratore e uccisore. La madre di lui, “la contadina”, uno dei tanti alter ego del protagonista, incomprensibile e inclassificabile, è disposta a impossessarsi di lui sessualmente per fare ciò che egli si rifiuta di fare. Le scena del consesso carnale è abbastanza inquietante, perché il protagonista scopre la violenza della propria mostruosità all’interno di un contesto orgiastico e grottesco, una sorta di ballo in maschera nel paese dei mostri, il che lo conduce alla disperazione. Ecco perché nel romanzo Il supplente si trovano aspetti che rimandano costantemente a una duplice esistenza o a molteplici possibilità dell’essere, facendo dell’ambiguità l’elemento fondante del testo. La costruzione della realtà si trasforma nel suo rovescio, dove gli opposti diventano identici.
	Essere nessuno, perduto nell'assoluta mediocrità e indistinzione, è per Attilio Forra l'inevitabile destino di ogni uomo, destino e oblio che anche l'opera di Angelo Fiore ha sperimentato e che, ormai, quasi più nessuno ricorda. 

Lascia un commento