NADIA CAMPANA – ANA CRISTINA CÉSAR

Tracciare un elenco delle motivazioni valide per giustificare il suicidio dipende dalla personale e alterna considerazione che ognuno ha di esso. Può essere un dovere rinunciare alla vita quando il continuare nella vita renderebbe impossibile il proprio dovere? Nadia Campana (Cesena 1954 – Milano 1985) e Ana Cristina César (1952 – 1983) sono state due donne, poetesse, fuse nella scelta di togliersi la vita all’età di 31 anni; tempo in cui la legge della ragione cessa di essere un semplice ideale per rendersi avvenimento immanente e fondamentale. Si potrebbe pensare che la loro è stata una decisione dettata da ciò che già era stato scelto, il progettare il momento che era già stato progettato. Il loro gesto, in altri termini, è stato il riconoscimento e l’accettazione della necessità, l’atto come volontà di riaffermazione.

I sentimenti e gli stati d’animo di entrambe le autrici, sono la diretta conseguenza degli aspetti della vita e degli ambienti che hanno frequentato. In Nadia Campana il vitalismo di cui talvolta sembra permearsi la sua poesia, cede davanti ai colpi presaghi del male che la abita. Si ha l’impressione che l’autrice voglia svelare la parte più segreta di se stessa, in costante dissidio con il caos che da lì a poco la risucchierà. E per renderlo patente non sdegnerà l’impiego della frammentazione del verso. Con frequenza questa appare come un vero e proprio collage criptato di frasi provenienti da luoghi diversi. Versi nella loro apparenza scollegati, pieni di salti, di espressioni che non sembrano calzare. Per Ana Cristina César le sue liriche sono concepite alla stregua di racconti confidenziali. Sono versi che, per così dire, avvertono la sensibilità esistente nel mondo, nelle persone, nei corpi, come qualsiasi altro oggetto reale, al fine di cogliere la loro dimensione sensuale e libera in cui tutto può avvenire. La sua è una poetica densa che richiede una lettura riflessa, senza compiacenza, anzi, una lettura sfidata.


N A D I A     C A M P A N A

[ dal libro di Nadia Campana, Verso la mente (a cura di Milo de Angelis, Emi Rabuffetti e Giovanni Turci), Raffaelli Editore, 2014 ]




Noi, la lunga pianura immaginaria
ci inghiotte come sacramenti della notte

Sei stato una quantità esatta
nella pioggia che afferra i visi

Ma adesso in ogni angolo della stanza
aspetteremo fuori dall’esplosione
un legno che io, qui,
ho costruito (lasciami fare)
prodigi scelti dal caso, pioppeti da percorrere!

Il tenero è nel mezzo e nell’interno
umiltà di una porta
ascoltando treni, a un passo, come
una febbre nel ricordo esattamente

Guarda il campo
è così calmo, smisurato, stamattina.










Registrazione


divento attenta solo quando ti allontani
allora varo la registrazione fonografica
dei meandri e pieghe sudate
nel gesticolio iperteso del passato
da fotografare nel contatore acceso
acceso e invadente l’orecchio
che palpa il cuore con competenza convinto
lo appenderò al chiodo non appena è vacanza
dal costume secolare della mancanza
e il fianco sarà infantile e leggero








Misura la voce


I


Stagione agli estremi della sera
arrossire tutta in una collina inesistente
ma vera per me che nascevo
con cumuli di nubi notturne
e nascevamo insieme e mi somigliavo
facendomi diventare chiacchiera interminabile
perché sapevo di più
amata stasi io.
Immediata io alto
non volendo essere solo
un’occasione vaga.
Troppo doversi amare troppo
doversi pensare amami tu
prendimi corpo felice
baffo placido zompa carezza
scappa un’altra volta
voce di animale parla per me.










uomo mattutino



mi avvicino alle dita di fresco
che picchiettano il volto rasato
senza toccarti vuoi essere adorato
guardare basti a me, a te lo specchio
cicala foglia non trema
al vento che non voglia questo profumo
come il tuo bambino ti osservo
eroe mattutino e chiaro
quel colore tirrenico porterai
a rovesci da pittore
tra le voci di fuori
dove deliberi ogni giorno ogni ora
perché sbiadiscano i tuoi cari:
troppo bianco troppo nero tutto in te
voglio affondarci ròsa dal tuo sangue









di questo succo momenti di pura pace due corpi nudi che
camminano guardandosi vorrei dire che senza arabeschi è
possibile appartenere qualche volta. fuori dai cinque
sensi dentro un senso che liberi tutti scrutare dall’ al-
to del sinai: il sinai.
anche voglio che rimanga in me
un’isola dinamica come un sogno esatto. bella sei amica
mia come un meriggio che pascola tra gli anemoni. il tuo
petto gregge notturno e candido. grandi cose il cuore ne
dice e paiono dire (ché nessun suono fuori riesco) quale
prova voglio vedere s’incurva al largo l’una vicino al-
l’altra al ritmo fai il viaggio nelle mie mani regione
di entrambi in te si realizza tutto il tempo in un istan-
te proprio grazie alla natura, a quella natura finita









proteggendosi a vicenda
qualcosa di loro correva
da lampade rotte
la luce gocciolava a mucchi
sulle carte sparse nel magazzino
forme avide tinte di rosso
fra le pareti li spingeva
qualcosa molto lontano esile fucilata
scriveva il sonno senza materia


Crediti dell’immagine: Foto di Kranich17 da Pixabay
A N A     C R I S T I N A     C É S A R




ponte e alumbramento



Sua primeira aparição
foi na ponte do pátio da primavera
revelado em nítido p/b.
Só você estava em tecnicolor.
A partir da sua tez, da sua roupa
do olhar azul inquiridor
todas as cores se concentraram
na sua figura e no seu tênis fúcsia.




do livro Dever, de Armando Freitas Filho, Companhia das Letras, 2013.









recuperação da adolescência




é sempre mais difícil
ancorar um navio no espaço



do livro Cenas de abril, Cia. Brasileira de Artes Gráficas, 1979.









Noite de Natal.
Estou bonita que é um desperdício.
Não sinto nada
Não sinto nada, mamãe
Esqueci
Menti de dia
Antigamente eu sabia escrever
Hoje beijo os pacientes na entrada e na saída
com desvelo técnico.
Freud e eu brigamos muito.
Irene no céu desmente: deixou de
trepar aos 45 anos
Entretanto sou moça
estreando um bico fino que anda feio,
pisa mais que deve,
me leva indesejável pra perto das
botas pretas
pudera



do livro Cenas de abril, Cia. Brasileira de Artes Gráficas, 1979.








16 de junho



Posso ouvir minha voz feminina: estou cansada de ser homem. Ângela nega pelos olhos: a woman left lonely. Finda-se o dia. Vinde meninos, vinde a Jesus. A Bíblia e o Hinário no colinho. Meia branca. Órgão que papai tocava. A bênção final amém. Reviradíssima no beliche de solteiro. Mamãe veio cheirar e percebeu tudo. Mãe vê dentro dos olhos do coração mas estou cansada de ser homem.
Ângela me dá trancos com os olhos pintados de lilás ou da outra cor sinistra da caixinha. Os peitos andam empedrados. Disfunções. Frio nos pés. Eu sou o caminho a verdade a vida. Lâmpada para meus pés é a tua palavra. E luz para o meu caminho. Posso ouvir a voz. Amém, mamãe.



do livro Cenas de abril, Cia. Brasileira de Artes Gráficas, 1979.









sumário



Polly Kellog e o motorista Osmar.
Dramas rápidos mas intensos.
Fotogramas do meu coração conceitual.
De tomara-que-caia azul-marinho.
Engulo desaforos mas com sinceridade.
Sonsa com bom-senso.
Antena da praça.
Artista da poupança.
Absolutely blind.
Tesão do talvez.
Salta-pocinhas.
Água na boca.
Anjo que registra.




do livro A teus pés, 1982.









aventura na casa atarracada



Movido contraditoriamente
por desejo e ironia
não disse mas soltou,
numa noite fria,
aparentemente desalmado:
— Te pego lá na esquina,
na palpitação da jugular,
com soro de verdade e meia,
bem na veia, e cimento armado
para o primeiro a andar.
Ao que ela teria contestado, não,
desconversado, na beira do andaime
ainda a descoberto: — Eu também,
preciso de alguém que só me ame.
Pura preguiça, não se movia nem um passo.
Bem se sabe que ali ela não presta.
E ficaram assim, por mais de hora,
a tomar chá, quase na borda,
olhos nos olhos, e quase testa a testa.




do livro A teus pés, 1982.









esvoaça... esvoaça...




Dedico a meu pai, bom e viajoso.
É como a vela que se apaga,
E a fumaça sobe e se atenua.
É o amor fraco que se apaga,
Não adiantam poemas para a lua.
Sofre o homem, o amor acaba
E a doce influência esvoaça
Como o fio adelgaçado
De fina e translúcida fumaça
Esvoaça, esvoaça...
Atenua o amor,
Atenua a fumaça.
Para que tanta dor?
E o amor que vai sumindo,
Adelgaça, esvoaça, esvoaça...

maio/63


do livro Inéditos e dispersos, Editora Brasiliense, 1985.

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