[ Città di Castello -Umbria- 1972]
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Una poesia, quella di Piccini, che guarda con interesse tutto ciò che si consuma e scompare, nella sua finitezza e mortalità. Uomo fra gli uomini, il poeta è un superstite che vuole rappresentare una forma di opposizione disperata al decadentismo del nostro presente, il cui vuoto esistenziale si confronta con un altro vuoto, più nefasto del primo, ovvero quello della morte. Per l’autore quest’ultima s’impone su tutto il creato come limitazione dell’esistenza, non senza prendere seriamente in considerazione l’uomo e la sua capacità di riassumere in se stesso tutto l’universo. La verità oggettiva dell’individuo, davanti a quella della sua finitudine, si carica di un significato escatologico, perché attraverso di quest’ultima gli è concessa l’opportunità di poter scorgere lo spiraglio di una nuova rinascita.
Quando eravamo morti ancora, i fiumi delle nubi correvano e le liquide atmosfere. La paglia incamerava la luminosità solare: era... Sotto cenere e cenere, inevasi strati di nati a essere, avevamo le nostre mani-non-mani nel grembo: era una pace infida, sconfinata. Le lucciole gremivano la storia, il desiderio allungava il suo morso ma noi, oscuri a tutto, intemerati, non eravamo nati come parte della materia muta che obbedisce. E sì, ritorneremo... chiunque chiami. Daniele Piccini, Inizio fine, Crocetti Editore, 2021.
Col sorriso gassoso tiene la folla incantata, è l'epoca che smotta, è la mente che barcolla. E ingoiano pasticche, chiedono il sonno ai video come lete. Battezza a vuoto, infiniti, la morte: quando veniva si piangeva a dirotto, ora è solo sgomento, solo furia, puro, cieco stupore. Daniele Piccini, Inizio fine, Crocetti Editore, 2021.
Questa che parla come fattucchiera mettendo insieme tra le tombe i vivi e i morti, lucida, tenace, vera., legiferante sul regno del sogno, discorre nota e ignota, salivando., come un'antica madre risanante. "apparvero nell'ombra del mio coma disfatti il padre e l'affranta sorella..." E poi, sul campo dei morti lattanti: "La levatrice fu, che me lo spense". Tragica maschera e lampo di riso che serve in grani di dolori a vivere: "vorrei" (quel morto che ha già mezzo secolo) "che il primo agosto non venisse mai". Daniele Piccini, Inizio fine, Crocetti Editore, 2021.
La quiete delle sere tisussurra dopo giorni di feroce morsura, ti ripete la legge che non muta e che detta sapienza, se si ascolta. Dice di ogni cosa la penuria, l'imprendibile grado di realtà delle conche dei mari, degli oceani e della selva uguale delle stelle. Pensa: occuparsi solo della fine, non ingannare o ingannarsi di dare inizio ad altro che si finga nuovo. Cercare nella fine resistenza, credere alla resurrezione: vieni alla porta, dentro casa, a vedere... Daniele Piccini, Inizio fine, Crocetti Editore, 2021.
In qualche anfratto troveremo posa dopo la nascita, esposti nel vento che balena, che batte sulla crosta e potremo riporre il desiderio. La notte è a volte come un emisfero da cui si torna lavati nei mari e lacrimati da ogni elemento come impassibile e inetto a salvarci. Una cuna, un covile per csordare il freddo degli inverni, il tremolare incendiario dei pioppi, enon subire la sorte di una specie (della rana!), lo stillicidio futile dei giorni: comporsi nel suo utero, rinascere. Daniele Piccini, Inizio fine, Crocetti Editore, 2021.
La vita muove le rive infinita, colora anche nel teschio la corona cambiando rapida una sola scena, il lui o lei che appare, da una porta... Mentre sciogli da ogni mappa la rotta per cercare nel vuoto la tua pace lei ti viene a bussare, con i passi infantili ti promette del pane. E poi scompare per anni o per secoli: se tornerà o no, tu non lo sai e lei nemmeno conosce il suo tempo costretta a un nodo di dura obbedienza. Gira al largo dal bene che si vede e vorrebbe, lei sì, dirti "ti stringo"... Daniele Piccini, Inizio fine, Crocetti Editore, 2021.