Alessandro Parronchi (Firenze 1914 – 2007)

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Durante gli anni di studio trascorsi all’Università, il giovane Parronchi strinse dei solidi legami di amicizia con Franco Calamandrei, Franco Fortini, Giorgio Spini e Valentino Bucchi. Più tardi questa amicizia interesserà anche Mario Luzi e, soprattutto, Vasco Pratolini. La produzione del primo periodo s’inserisce nell’ambito del simbolismo francese, il che lo allontana senza ripensamenti dalla tradizione classica e dall’ermetismo, anche se sentiti come complementari.

Nei componimenti più maturi dell’autore si può notare la presenza di una solidità non solo espressiva, maturata negli anni, ma anche di coscienza il cui primato si esplicita in chiave etica a favore di una adesione al vero. Il verso si apre alla polemica nei confronti delle illusioni del progresso della società, fino a confrontarsi con il crepuscolo della vita e del dolore.

Tuffati nel passato, e se potrai
ricrearne pochi attimi di vita
capirai che il tempo non esiste.
Se infatti esistesse, via via
che dietro te si accumulano gli anni
diverrebbero barriera insuperabile.
Basta invece sapere
cos'è che gli uomini moveva di quei tempi
e conoscerne gli usi e le ambizioni
per comprendere quello che fu vivo
sentirlo vivo anche oggi
domani, sempre. E conoscere il peso
che sopportaron gli uomini coscienti,
non coloro per cui tutto fu facile
e incolore: le vili sanguisughe.


Alessandro Parronchi, «Quel che resta del giorno», Le Càriti Editore, Firenze, 2001.

Passiamo tra cortine e alberi sempre
più immemori del cielo
e dietro noi la bruma
rilega il sole tenero le piante
che non hanno colore:
spettri di molto più desiderosa
vita a noi che passiamo.


Alessandro Parronchi, «Quel che resta del giorno», Le Càriti Editore, Firenze, 2001.

Mi accade spesso di tornare in sogno
alla remota casa di campagna
dove per tanto abbiam vissuto insieme
ma ora viva tu sola e più nessuno
ti allevî il peso della lontananza.
E sempre, risvegliandomi il rimorso
d'aver dimenticato te che aspetti
sola nella tua casa dove piove
luce dai boschi, là vorrei raggiungerti
se alfine incontro a me torni più viva
che nelle angosce trepide dei sogni.


Alessandro Parronchi, «Quel che resta del giorno», Le Càriti Editore, Firenze, 2001.

La trincea


Scavai nei miei verdi anni una trincea
per prepararmi alla guerra. Da quella
balzai avanti, in terre di conquista
sfrondate da paurosi mostri, corsi
ardito e ignote ricchezze scopersi,
promulgai bollettini di vittoria.
Poi, quando mi guardai intorno m'accorsi
d'esser solo. Sparito era il nemico?
Laggiù fin dove si perdeva l'occhio
piante malsane cresciute alla vita
del fango, mentre quelle che eran terre
rigogliose giacevan nell'oblio!
Quegli uomini, che per me eran grandi,
cancellati dai libri, dalle liste
di preferenza, dalle scelte. Ed io
ero, e ancora non solo. E non mi resta
che far di quella fossa il mio sepolcro.


Alessandro Parronchi, «Quel che resta del giorno», Le Càriti Editore, Firenze, 2001.

Finestra


Non so più se apro o chiudo la finestra
di un giorno che incomincia o che è finito
per spalancarsi su una notte immensa
o se è la vita che incomincia, nuda
come il giorno che nacqui ero io nudo.
Poi mi vestìi di belle fantasie,
di sogni, ma la vita s'è spogliata
sempre più nuda per me che l'amavo.
E ora che m'abbandona l'amo ancora
vestita di colori dell'aurora.


Alessandro Parronchi, «Quel che resta del giorno», Le Càriti Editore, Firenze, 2001.

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